USA, la trasformazione “forzata” di Trump: dalle posizioni anti-establishment all’interventismo militare

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Il nuovo indirizzo della politica estera USA ha visto anche Donald Trump sposare la linea interventista: il presidente è infatti sempre più soggetto alle pressioni degli “alti papaveri” delle forze armate.

Quello che sta accadendo alla Casa Bianca negli ultimi mesi ha stupito non pochi osservatori internazionali: l’ultima campagna presidenziale aveva visto Donald Trump sconfiggere Hillary Clinton proponendosi come un candidato anti-sistema e desideroso non solo di invertire la rotta in politica estera ma anche di tagliare le spese militari delle missioni in giro per il mondo. Eppure, Trump ha dovuto fare marcia indietro: gli esponenti di spicco delle forze armate premono affinché il presidente non abbandoni la tradizionale linea dell’interventismo e, secondo alcuni “rumors”, sovente lo tengono all’oscuro di importanti documenti e retroscena. Insomma, per gli analisti è andato in scena un “colpo di stato a bassa intensità”.

Le pressioni dell’esercito

A pochi mesi dall’insediamento, Donald Trump ha quindi dovuto fare i conti con la “realpolitik” di alcuni personaggi molto influenti a Washington, in particolare James Mattis, il Segretario alla Difesa, Rex Tillerson, il Segretario di Stato raccomandatogli da Condoleezza Rice, e anche Mark Milley, Capo di Stato Maggiore. Di fronte ai legittimi dubbi di Trump nel destinare milioni di dollari alle missioni militari ereditate dalla precedente amministrazione, gli “alti papaveri” della Difesa hanno lentamente lavorato ai fianchi di The Donald, “indottrinandolo” come è consuetudine con i nuovi inquilini della Casa Bianca, ma anche mettendo i bastoni tra le ruote alle sue prime decisioni in materia di politica estera.

L’isolamento di Trump

Messo all’angolo, Trump si è lasciato convincere a sposare una linea più aggressiva ma ha anche capito che, per evitare di aprire un fronte interno di polemiche, bisognava assecondare le volontà di quei generali che vogliono mantenere l’egemonia americana all’estero. Secondo alcuni retroscena, starebbe arrivando a compimento una strategia di lunghissimo corso che ha visto l’esercito acquisire sempre maggior potere e influenzare anche le scelte dei predecessori dell’attuale presidente, vale a dire George W. Bush e Barack Obama. Insomma, quella che prima era una pressione esercitata dietro le quinte adesso è una strategia manifesta, facendo di Trump una sorta di “ostaggio” in un gioco di potere che ha portato al licenziamento dei suoi uomini di fiducia (Steve Bannon e Michael T. Flynn) al fine di isolarlo.

Il Golpe in slow motion

Intervenuto in merito, il giornalista Stephen Kinzer ha parlato di un “colpo militare in slow motion”, con i vertici della US Army che hanno assunto le leve del comando in tema di sicurezza e politica estera: a giudizio di Kinzer, è facile prevedere quali saranno le “priorità strategiche” che questo manipolo di generali individuerà per i prossimi anni e non è nemmeno un caso che Mattis e Milley siano oramai delle voci ascoltate dall’opinione pubblica, anche perché considerati la vera alternativa a una classe politica deludente. Nell’immediato futuro il timore è che Trump, tenuto all’oscuro di alcune manovre politiche oppure semplicemente mal consigliato, faccia il gioco dei generali e contribuisca a scatenare una pericolosa escalation diplomatica con Iran e Corea del Nord: e, sempre secondo Kinzer, sarà proprio questa la “vittoria dell’establishment contro il leader anti-sistema.

Il Team di BreakNotizie