Passa il decreto Salva-banche: niente soldi pubblici e correntisti al riparo

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Il provvedimento consente di dare continuità all’attività creditizia e ai rapporti di lavoro, tutelando pienamente i correntisti. Così recita uno stralcio di una nota del governo associata al decreto salva-banche, provvedimento balzato al centro delle cronache di questi ultimi giorni.

Via al Risanamento

Sembrerebbe dunque spianata la strada verso il risanamento di Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio e Cassa di risparmio della Provincia di Chieti, i quattro istituti finiti in amministrazione controllata negli ultimi due anni a causa di pesanti debiti e comportamenti non sempre totalmente trasparenti. Il primo ministro Matteo Renzi e il suo entourage erano sotto la lente d’ingrandimento, in vista della possibilità che per il salvataggio potessero essere dirottati anche soldi pubblici. Rischio quasi certamente evitato: per risollevare le sorti delle quattro banche “malate” sono stati messi sul piatto circa 3,6 miliardi di euro, interamente provenienti dai pilastri del sistema bancario italiano in primis tramite il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Questo Fondo, già presente, raccoglie contributi provenienti da oltre 225 banche italiane, contributi finora tendenzialmente “volontari” e insufficienti per reggere una crisi come quella delle quattro banche in amministrazione controllata.

La copertura: niente soldi pubblici

La situazione cambierà comunque in maniera rapida proprio partendo dallo stesso Fondo Interbancario, nel quale verranno versati da subito, oltre alla normale quota prevista per il 2015, anche anticipi sulle quote del prossimo triennio, in maniera da rimpolparne subito le casse. Così verranno ricavati 2 dei quasi 4 miliardi necessari, mentre le parti restanti saranno coperte attraverso una linea di credito che sarà creata da Unicredit, Ubi Banca e Intesa Sanpaolo. Contestualmente al salvataggio dei quattro istituti di credito, sarà istituita anche una bad bank nella quale confluiranno i debiti complessivi delle banche da risanare. In tutto, poco meno di 2 miliardi serviranno a ripianare i suddetti debiti, mentre almeno 1,8 miliardi saranno adoperati per una massiccia ricapitalizzazione e per permettere di ricominciare a operare sul mercato. L’obiettivo finale, ha precisato il governo, è di rendere nuovamente appetibili gli istituti coinvolti, e rivenderli il più presto possibile a cifre ragionevoli.

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Priorità: non arrivare al bail in

Sono state giornate di lavoro frenetico, tanto dal punto di vista prettamente economico quanto da quello politico, poichè la priorità delle istituzioni italiane era il procedere al salvataggio delle banche interessate prima dell’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo, che dal 1° gennaio 2016 introdurrà con il bail in la possibilità (non immediata, ma comunque presente) che anche correntisti con conti superiori a 100mila euro possano indirettamente contribuire al risanamento di banche “malate”.

Mettere al riparo Banca Etruria e “colleghe” prima dell’entrata in vigore del bail in era dunque considerato prioritario, per evitare un vero e proprio terremoto tra i correntisti con conseguente crescente sfiducia nel sistema bancario. L’operazione sembrerebbe quindi riuscita, ma sullo sfondo rimangono ancora alcune polemiche da parte dell’opposizione, che punta i riflettori soprattutto su Banca Etruria per via dell’ormai ex vice presidente Pier Luigi Boschi, padre del ministro Maria Elena e già oggetto nel 2014 di un’ispezione che aveva portato alla luce ripetute e variegate violazioni di trasparenza ed efficienza di governance. Insomma, gli avversari del PD promettono battaglia.

Il Team di BreakNotizie