La reale strategia di Donald Trump nel confronto con la Corea del Nord

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Il duro scontro verbale fra Trump e Kim Jong Un potrebbe essere soltanto una cortina di fumo per nascondere i veri obiettivi della strategia statunitense. Trump sta solo bluffando?

Durante la sua ultima visita in Asia il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha posto l’accento sul pericolo che la Corea del Nord rappresenterebbe per gli altri Stati limitrofi, in particolare per la Corea del Sud ed il Giappone, e ha lanciato la proposta di far acquistare a tali Paesi dei missili statunitensi per procedere ad un riarmo generale ai fini di “ristabilire la sicurezza”.

Una strategia di marketing per la vendita di armi?

I toni utilizzati da Trump nei confronti di Kim Jong Un potrebbero avere come scopo principale quello di alimentare il clima di tensione ed insicurezza negli alleati del governo americano per spingerli ad acquistare da loro gli armamenti. La doppia morale di comodo degli Usa per quanto riguarda la sicurezza è emersa nel corso della visita del presidente statunitense a Tokyo, quando, senza troppi giri di parole, davanti ad impresari e politici, ha affermato “L’unico modo di fermare i missili nordcoreani e le minacce della Nord Corea è comprare missili di difesa degli Stati Uniti, e non pochi, ma molti. Questa è l’unica opzione per stare sicuri”. Ed ha ammesso “Si tratta di un sacco di posti di lavoro per gli USA e un sacco di sicurezza per il Giappone“. Più chiaro di così.

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Provocare a distanza Kim Jong Un, terrorizzando gli altri Paesi asiatici

Secondo alcuni analisti il presidente si finge “pazzo” per muoversi in maniera autonoma e seguire una propria linea nascosta di politica estera, altri ancora lo vedono come un burattino in mano delle lobby che gestiscono davvero il potere nel Paese. Una cosa è certa: Trump non controlla né il Pentagono, né la CIA ed il Dipartimento di Stato, organismi che sono in netto contrasto fra loro, come è apparso dalle dichiarazioni discordanti dei principali funzionari dell’Amministrazione di Washington.

Ciò che è evidente è che Trump ora sta operando contro il leader nord coreano per provocare ma senza affondare, principalmente per spaventare gli altri Paesi asiatici. In questo modo, Trump appare come l’unico salvatore possibile, anche se in realtà è pura strategia da manuale: prova la crisi e poi ne propone lui il rimedio. Il presidente americano non perde occasione per “stuzzicare” il leader nordcoreano definendolo prima come “dittatore”, poi proclamando che “il tempo del dialogo è finito” e che gli Stati Uniti sono disposti ad impiegare tutte le forze militari in loro possesso per distruggere la nazione nordcoreana.

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Alimentare l’industria della guerra è il primo vero obiettivo del Presidente

Sono state avanzate differenti ipotesi fra le quali quella di un’invasione militare in collaborazione con il Giappone col fine di distruggere gli armamenti coreani ma è stata anche paventata la possibilità che il Nord Corea possa utilizzare armi batteriologiche e chimiche. Al momento, comunque, Trump è tornato dal Giappone senza aver venduto di fatto alcuna arma, al contrario di quanto successo invece durante il suo ultimo viaggio in Arabia Saudita paventando la possibile minaccia dell’Iran. Un vero e proprio “piazzista”: d’altronde all’apparato militare industriale statunitense non importa tanto di quale nazione da attaccare si tratti, che sia VenezuelaUcraina, Corea del Nord o Iran: l’importante è alimentare l’industria della guerra per giustificare le produzioni ed i posti di lavoro mantenuti grazie ad essa.

Stati Uniti, “eroi” della democrazia

Trovare dei pretesti per fare una guerra è semplice: dal classico motto “portare la democrazia” e “la difesa dei diritti umani” alle terribili “armi di distruzioni di massa” da neutralizzare. L’apparato dei media come CNNCBCFox NewsNew York Times e altri network poi penserà ad orchestrare la campagna di propaganda, che poi rimbalzerà anche sui media europei come BBC, Le Monde e persino da noi sulla Rai, il Corriere della Sera, La Stampa e Repubblica.

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Dall’altra parte c’è il leader nord coreano descritto come un “dittatore pazzo”, il male personificato che si diverte a far fuori senza troppi complimenti collaboratori, ministri e financo parenti. Al di là delle ombre (reali o ingigantite) di questa controversa figura politica, c’è da notare che “stranamente” gli Stati Uniti muovono sempre minacce di guerra contro stati “canaglia”. Fu così per Milosevic, per Saddam Hussein, per Gheddafi, per Noriega e molti altri. La maggior parte assassinati senza un processo. E in tutto questo gli Stati Uniti continuano ad ergersi come “salvatori del mondo” guidati da una missione superiore, mettendo spesso in secondo piano persino l’Onu, che di fatto appare quasi come un ente inutile.

Una prassi che si ripete

Certo è che, sinora, qualunque Paese non conforme con gli interessi di Washington deve prima o poi aspettarsi una “primavera araba” o un intervento diretto, come accadde in Libia del 2011. Non vi sono alternative, specialmente se il Paese in questione possiede delle risorse petrolifere, come l’Iraq, o se si trova su una rotta strategica, come lo Yemen. In casi come questi è sicuro, prima o poi, l’intervento americano per un “rovesciare il regime” utilizzando una delle scuse preferite da Washington in maniera diretta o indiretta attraverso gli alleati fedeli degli USA come hanno fatto, ad esempio, le armate di mercenari jihadisti in Siria o come sta facendo attualmente l’Arabia Saudita nello Yemen.

la-reale-strategia-di-donald-trumpYemen oggi

Questa minaccia spinge i diversi leader, presidenti e premier potenzialmente esposti alla minaccia Usa a crearsi una sorta di “polizza di assicurazione sulla vita” per evitare di finire come Saddam Hussein e Gheddafi. In cosa consiste? Nel dotarsi di armamenti nucleari (reali o presunti). Questo spiega la generale corsa al nucleare di molte nazioni. Sempre più a discapito della sicurezza mondiale.

Il Team di BreakNotizie