40 milioni di schiavi nel mondo: alla radice il razzismo

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Gli schiavi esistono ancora nel terzo Millennio: donne, bambini e uomini vengono a tutt’oggi costretti a lavorare o a fornire prestazioni sotto ricatto, sottoposti a violenze, torture e privazioni di ogni tipo.

La schiavitù è un problema ancora attuale: secondo le stime dell’ONU sarebbero oltre 40 milioni le persone schiave nel mondo, senza contare servitù temporanea, lavoro iper-sfruttato e altre forme di asservimento che farebbero salire ancora di più la cifra.

Gli schiavi del Terzo Millennio

Sono circa 25 milioni le persone costrette ai lavori forzati, 15,4 quelle costrette a sposarsi, per lo più donne e bambine (70%), tenute segregate a vita. Sono invece 4,8 milioni le persone sfruttate sessualmente, dove le donne costituiscono il 99% del lavoro nell’industria del sesso. Oltre 4 milioni gli schiavi di uno Stato o di un’amministrazione pubblica. E non mancano i bambini, circa 10 milioni vittime della schiavitù moderna. La compravendita di schiavi è ben nota in Libia, ma vi sono anche altri Paesi dove ciò è una realtà concreta, nel resto dell’Africa e in Asia orientale. Il lavoro schiavile è diffuso un po’ ovunque (la realtà delle campagne italiane in mano alle agromafie ne è un eloquente esempio) ma si concentra particolarmente in Medio Oriente e America Latina.

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Perché la schiavitù esiste ancora nel XXI secolo?

Negli ultimi secoli la schiavitù è stata al centro di importanti eventi storici e rivoluzioni culturali e sociali. Basti pensare alla guerra di secessione americana, le lotte per l’indipendenza da parte delle colonie dell’America del Sud, la storia di Haiti: sono il segno di come la lotta contro la schiavitù sia ormai parte integrante della coscienza collettiva di molte nazioni moderne. Nonostante ciò, la schiavitù esiste ancora. Perché? Le motivazioni principali sono più legate ad una questione culturale piuttosto che economica e hanno radici storico politiche. In altre parole, la percezione dell’inaccettabilità della schiavitù non è un concetto chiaro e uguale per tutti.

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Alcuni esempi nella Storia

In America Latina, ad esempio, abolizione della schiavitù e indipendenza dalla corona spagnola andarono di pari passo, inseriti ambedue nel progetto nazionale con la fondazione dei nuovi Stati sovrani. Simon Bolivar e i suoi seguaci avevano tutto l’interesse di ottenere l’appoggio degli schiavi, inclusi nativi, mulatti e altre popolazioni. Negli Stati Uniti l’indipendenza fu dichiarata nel 1776 e l’abolizione della schiavitù nel 1865: il problema, infatti, venne prima ignorato e rimandato sino alla guerra civile sino all’emancipazione voluta da Lincoln. Un processo similare si ebbe nei Caraibi, fatta eccezione per Haiti, che fu precursore per i Paesi latinoamericani.

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In Africa, invece, l’abolizione della schiavitù avvenne molto prima delle indipendenze, durante l’epoca coloniale, ma venne applicata in modo diversificato e ambiguo. Il mantenimento della condizione servile in molti casi altro non era che schiavitù sotto un altro nome. Occorre aggiungere, inoltre, che nei Paesi di cultura islamica lo schiavismo era molto più tollerato anche in tempi molto recenti.

Le radici culturali e sociali della schiavitù

La mentalità schiavista in molte realtà continua quindi a condizionare l’identità etnica e le relazioni sociali. Il termine della Tratta degli schiavi non ha coinciso con la fine della schiavitù, tuttora presente in diverse culture e persino tollerato. L’abolizione formale della schiavitù non ha eliminato la mentalità razziale al quale essa è correlata. Anzi, si può affermare che la schiavitù esiste ancora perché esiste ancora il razzismo. Il riferimento razziale talvolta è sottaciuto o celato. È un modo per “giustificare” le disuguaglianze sociali tra persone, presupposto per lo schiavismo.

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Il Team di BreakNotizie

 

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